IL TRIBUNALE Ha emesso ordinanza di remissione degli atti alla Corte costituzionale per la valutazione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 11-bis c.p. Nel corso del processo per direttissima a carico di Ferreira Cristiano, nato in Brasile il 1° agosto 1986, tenutosi all'udienza del 1° agosto 2008 presso il Tribunale di Livorno, e' emerso che lo stesso risultava imputato, tra l'altro, del reato punito dall'art. 13, comma 13 del decreto legislativo n. 286/1998 per essersi, lo straniero, trattenuto senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di lasciare l'Italia impartitogli dal questore di Aosta in data 5 gennaio 2007, aggravato dall'aver commesso il fatto «trovandosi illegalmente sul territorio nazionale» (cd. stato di clandestinita') ex art. 61, comma 11-bis c.p.. Il p.m. ha sollevato l'eccezione di incostituzionalita' di quest'ultima norma, eccezione a cui si e' associato il difensore. A parere di questo Giudice la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 11-bis c.p. non appare manifestamente infondata, per le ragioni che seguono. In particolare, la previsione dell'aggravante di cui all'art. 61, comma 11-bis c.p., introdotta dal decreto-legge n. 92 del 23 maggio 2008, appare in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. Va premesso che oggetto della presente questione di legittimita' costituzionale e' una norma contenuta in un decreto-legge dei quale allo stato, pur se approvato al Senato nello stesso testo, si ignora se verra' o meno convertito, con o senza modificazioni, ai sensi dell'art. 77 Cost. Malgrado tale incertezza oggettiva questo Giudice ritiene di dovere comunque sollevare la questione di legittimita' costituzionale e di non potere attendere l'eventuale stabilizzazione, modifica o perdita, degli effetti giuridici del decreto legge, proprio per evitare di emettere una pronuncia nel merito che possa condurre alla formazione del giudicato in forza di una norma della cui legittimita' costituzionale si dubita. La previsione di un'aggravante di tipo soggettivo in relazione a uno stato particolare qual e' l'illegalita' in relazione alle norme che regolano la presenza dei cittadini extracomunitari sul territorio nazionale non rispetta il principio di eguaglianza e neppure i' principi di' responsabilita' personale - nel senso di responsabilita' per il fatto proprio colpevole - e di finalita' rieducativa. Sotto il primo profilo possono svolgersi le seguenti considerazioni. Va premesso, innanzitutto, che la norma fa riferimento alla condizione di illegale presenza sul territorio dello Stato: e' quindi evidente che non va ristretta l'applicazione alla condizione comunemente intesa di «clandestinita'», propria di coloro che entrano illegalmente in Italia: l'aggravante deve essere contestata anche agli imputati per i quali, per qualsiasi ragione derivante dalle vicende dell'ingresso e del permesso di soggiorno, le condizioni di regolare permanenza siano venute meno in un momento successivo. Cio' posto, la ratio della previsione starebbe nella maggiore pericolosita' che la situazione di illegalita' comporta. Una ratio che evidentemente recepisce la percepita, insita e connaturale maggiore attitudine del clandestino a commettere reati e la valutazione del fenomeno immigrazione come fattore di aumento della criminalita'. E gia' evidente che tale percezione viene meno quando la persona non sia clandestina ne' inserita in stabili' contesti criminali, ma abbia visto mutare la sua posizione per le variabili dovute alla disciplina in materia di immigrazione, avendo vissuto una precedente condizione di rispetto delle regole e che non puo' affatto presumersi come maggiormente incline a commettere reati. Si opera, quindi, gia' con riguardo a costoro un'irragionevole equiparazione, laddove le diverse situazioni andrebbero trattate in modo differente. La pericolosita' di un soggetto non va rapportata a una condizione soggettiva tout court, ma a eventuali circostanze (condizioni di vita, modalita' di sostentamento legate a contesti criminali e cosi' via) che, al contrario, sono oggettivamente vagliabili e per la valutazione della cui sussistenza l'ordinamento gia' dispone di parametri di valutazione e presupposti di applicazione. La condizione di illegale presenza sul territorio nazionale non e' inerente alla condotta posta in essere, ne' al fatto commesso: questi restano identici qualunque sia l'autore; ne' puo' essere valutata alfa stregua delle altre aggravanti di tipo soggettivo previste dalla legge penale. Tra queste, senza considerare i numeri 9 e 11 dell'art. 61 (ragionevolmente attinenti alla violazione di una posizione dominante o di protezione, ovvero a un rapporto di fiducia), vanno esaminate l'aggravante di cui al numero 6 della medesima norma e la recidiva, cui apparentemente puo' assimilarsi quella in parola. Si potrebbe dire, infatti, che cosi' come il legislatore ha previsto la maggiore pericolosita' - consistente nella valutazione della maggiore attitudine a delinquere operata sull'esperienza - del «latitante» e del recidivo, allo stesso modo ha operato una scelta di politica criminale con riguardo allo straniero irregolare o clandestino. L'esperienza insegnerebbe che costui e' maggiormente incline a commettere reati e che tale sua disposizione deriva dalla precarieta' del suo stato, dai contesti criminali e antisociali con cui necessariamente viene a contatto, dalla necessita' di procacciarsi il sostentamento con ogni mezzo legittimo o illegittimo, dall'essersi posto volontariamente in una condizione di violazione delle regole. Ma va, invece, operata un'opportuna distinzione: il recidivo, chi si sottrae all'ordine di cattura o di carcerazione, chi ha violato una misura di prevenzione e' pericoloso perche' un giudice ha gia' operato delle valutazioni in ordine al comportamento delittuoso o alla pericolosita' sociale: si tratta di persone che hanno gia' commesso reati o hanno posto in essere comportamenti criminosi e/o pericolosi, che volontariamente si sottraggono all'azione punitiva o preventiva, che hanno in qualche modo mostrato una pervicace ribellione al potere coercitivo dello Stato. Non sussistono analoghi presupposti per lo straniero irregolare. La clandestinita' o l'irregolarita' non sono, di per se', penalmente rilevanti: lo diventano soltanto dopo la mancata ottemperanza all'ordine di espulsione: e', quindi, irragionevole che il medesimo trattamento - il potenziale aumento della pena - sia riservato a chi e' valutato con una prognosi ex ante pericoloso in virtu' di circostanze concrete e a chi e' considerato pericoloso per una semplice qualita' soggettiva disancorata da parametri certi. E una cosa e' la violazione della legge penale, di un ordine emesso dall'autorita' giudiziaria, di un ordine di allontanamento, altra cosa e' la violazione - che puo' anche essere legata a un'emergenza o a difficolta' burocratiche e che troppo spesso e' dettata dalla miseria o dalla guerra nel paese di provenienza - di' regole amministrative quali sono quelle inerenti la disciplina dell'immigrazione. Si potrebbe obiettare che esiste una previsione normativa che allo stesso modo prende in considerazione qualita' o circostanze parimenti slegate dal fatto e strettamente connesse alla mera condizione dell'imputato, senza che mai ne sia stata dichiarata l'incostituzionalita'. Si tratta delle «circostanze» di cui il giudice «deve tener conto, altresi',» nell'esercizio del potere discrezionale relativo alla determinazione della misura della pena: ovvero la capacita' a delinquere desunta, in particolare, dal carattere del reo, dalla vita e dalla condotta antecedenti e dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale. I parametri di valutazione offerti al giudice dall'art. 133, comma 2, c.p. possono condurre a una maggiore esigenza di punizione attraverso l'esame di situazioni e condizioni meramente qualitative, del tutto assimilabili allo stato considerato dal nuovo comma 11-bis dell'art. 61 c.p.: dunque non vi sarebbe alcuna violazione dell'art. 3 della Costituzione. Tuttavia va distinto il piano di operativita' delle due norme. Una cosa e' una circostanza aggravante, che se applicata impone negli ambiti quantitativi previsti un aumento di pena, secondo il giudizio di bilanciamento di' cui all'art. 69 c.p.; altra cosa e' la valutazione di fatti e condizioni di cui il giudice deve tener conto nella commisurazione della pena al fatto commesso, tra cui la capacita' a delinquere. Tanto e' vero che gli stati e le qualita' elencati dall'art. 133 c.p. non sono considerate circostanze in senso tecnico e, dunque, non sono soggette al cd. bilanciamento in senso tecnico. considerare l'irregolarita' sul territorio nazionale quale indice di maggiore gravita' contrasta da un lato con il principio della responsabilita' personale e dall'altro con la finalita' rieducativa della pena. La previa, aprioristica attribuzione di un maggior disvalore al fatto posto in essere dallo straniero irregolare rischia di far scivolare dalla colpevolezza al delitto d'autore. Recependo il diffuso allarme sociale che lega l'immigrazione alla percezione di un preteso aumento dei fenomeni criminali, si qualifica il fatto per essere piu' grave solo perche' commesso da un tipo d'autore (il clandestino, lo straniero) e non perche' in virtu' di una ragionevole e razionale valutazione, come invece e' per le circostanze gia' analizzate sopra, si valorizza il senso di una manifesta ribellione al potere coercitivo gia' esercitato nei confronti del soggetto. In altre parole, il fatto sarebbe piu' grave perche' l'autore appartiene a una certa categoria di persone. Laddove, infine, l'aggravante venisse applicata comportando l'aumento della pena, quale fine rieducativo potrebbe raggiungere non e' agevole chiarire. La percezione dello straniero irregolare che vedesse la pena aumentata per la sua condizione non sarebbe di uno strumento che gli offra una maggiore opportunita' di' reinserimento, di partecipazione alla vita sociale nel rispetto delle regole, ma soltanto di una maggiore punizione. L'ottica e', in altre parole, meramente retributiva e soddisfa, piu' che il finalismo rieducativo percepito dal Costituente, il - purtroppo - diffuso sentimento per cui e' socialmente piu' grave il delitto commesso da chi appartiene a una comunita' diversa dalla nostra Non si tratta di un fondamento criminologico, ma della mera ricezione del sentire comune. Ne', ai fini della esclusione della rilevanza della questione che si intende sollevare, potrebbe assumere valenza l'eventuale giudizio di bilanciamento, ai sensi dell'art. 69 c.p., da operare all'esito (della possibile affermazione di responsabilita' e) dell'eventuale concessione di attenuanti(in particolare, quelle ex art. 62-bis c.p.). E' evidente, infatti, che proprio per compiere correttamente tale eventuale giudizio occorre valutare, da un lato, le attenuanti, dall'altro, le aggravanti ritenute esistenti, sicche' la presenza di una o piu' aggravanti inciderebbe proprio sull'esito del giudizio e sull'entita' della pena da applicare.